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Le statistiche parlano chiaro, l’80% dei tradimenti inizia in rete anche grazie ai social. Basta un post a dimostrare la colpa in tribunale. La legge tutela chat e messaggi privati.

Perché si tradisce? Per noia, per abitudine o per colmare la distanza fisica ed affettiva che, col tempo, si è creata tra due partner?
Inglobati in una vita sempre più frenetica e che lascia poco spazio o addirittura annulla l’affettività, distratti e stressati dai mille impegni personali e familiari spesso ci si dimentica, spiega l’avvocato salernitano Maria Rosaria Della Corte, professore dell’università Link e titolare dello studio legale Della Corte & Co ai Parioli di Roma, dei bisogni e delle esigenze delle persone che abbiamo accanto.
Il dialogo insomma, stando all’esperienza della matrimonialista, comporta fatica e così spesso si preferisce alimentare piuttosto il silenzio e l’incomunicabilità. Con la conseguenza che, come sempre è accaduto, diventa facile cercare e trovare conforto nel mezzo più potente ed immediato di comunicazione del momento: internet ed i seducenti social network, primo fra tutti Facebook.
Le statistiche, spiega infatti la giurista che nella sua carriera ha acquisito una particolare competenza nel diritto di famiglia e minorile, lo confermano: l’80% dei tradimenti inizia on line, e proprio questo social risulta essere lo strumento ”correo” più adoperato.
In passato infatti i proseliti della “scappatella” dovevano ingegnarsi per giustificare l’anomala assenza da casa, mentre il web ha semplificato queste meticolose organizzazioni fornendo, in un click, la possibilità di intrattenere conversazioni istantanee.
Il giro delle conoscenze si amplia così molto più velocemente, ed i rapporti possono poi facilmente sfociare in un tradimento virtuale se non in una vera avventura extraconiugale.
Ma se Facebook ha reso più semplice tradire, spiega ancora la Della Corte, ha anche semplificato la ricerca “delle prove” del tradimento, attraverso le numerose tracce digitali che inevitabilmente si lasciano.
Bisogna, quindi, prestare cautela a ciò che si scrive in quanto nei tribunali si possono produrre i post come fonte di prova.
Il 66% degli avvocati impegnati in una causa di divorzio usa Facebook come fonte da cui trarre indizi di un tradimento, dal momento che è molto facile lasciare tracce dimenticandosi ciò che di compromettente si scrive sulla bacheca propria o altrui.
A differenza delle chat e delle messaggerie private (che sono assistite invece dalla tutela che protegge la corrispondenza privata e come tali devono ricevere la massima difesa sotto il profilo della loro divulgazione), le informazioni pubbliche sul proprio profilo personale possono costituire prova in una causa di separazione, anche ai fini del tenore di vita condotto dall’ex coniuge.
Parsimonia e prudenza, quindi, sono gli imperativi nell’utilizzo indiscriminato del social network, perché se tecnologia vuol dire comunicazione e progresso, con un mero click rischiamo di mettere a repentaglio tutto ciò che di importante abbiamo costruito fino a quel momento nella nostra vita.

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